
ARCHEOLOGIA POSTMEDIEVALE pubblica materiali riguardanti l’archeologia postmedievale, la storia della cultura materiale, la storia urbana e le scienze applicate. La rivista si propone la discussione teorica sulle domande storiografiche e sulle strategie di ricerca seguite, il potenziamento della dialettica tra fonti di natura diversa (archivistica, archeologica, archeometrica, orale e antropologica), tratto caratteristico dell’Archeologia postmedievale e suo punto di forza nell’attendibilità della ricostruzione storiografica.
Infine, vuole promuovere lo sviluppo della ricerca sul campo, della tutela e della conoscenza di questa rilevante parte del patrimonio archeologico, spesso priva di riferimenti istituzionali ed esposta a continua erosione. Nella struttura del periodico, i saggi sono organizzati per argomenti; le sezioni riguardano l’Antropologia, l’Archeologia e storia urbana, l’Archeologia della produzione, la Cultura materiale, l’Archeologia del territorio. La Redazione si riserva di destinare i materiali che le pervengono, in accordo con l’A., nella sezione più adatta all’economia della Rivista.
ARCHEOLOGIA POSTMEDIEVALE is a journal that publishes articles related to post-Medieval archaeology, the history of material culture, urban history and applied sciences. The journal aims to include theoretical discussions about historiography and research strategies, the increase in the dialogue between sources of different types (archival, archaeological, archeometric, oral and anthropological) which is a characteristic feature of post-Medieval archaeology and its strong point in historiographic reconstruction.
The magazine also promotes the development of field research, and the interest in and guardianship of this significant portion of the archaeological heritage which is often ignored by the state institutions and subject to continued misuse. The articles in the journal are organized by subject matter; the sections are related to Anthropology, Archaeology and urban history, industrial archaeology, material culture, territorial archaeology. The editors reserve the right to assign the articles they receive, with the permission of the author, to the most appropriate section of the journal.
L’editoriale del volume 20, 2016
Dopo una serie di volumi tematici, che hanno caratterizzato negli ultimi anni le politiche della Rivista, Archeologia Postmedievale si apre nuovamente, con il suo numero 20, a una polifonia di contributi che ci portano dalla Conflict Archaeology alla storia biologica della popolazione, all’archeologia del commercio e a quella dell’alimentazione. Con un ventaglio di casi ben distribuiti nel territorio europeo, essi rappresentano al meglio la vivacità dell’archeologia postmedievale e l’ampia visione metodologica che la contraddistingue, per esempio con il crescente ricorso a una bioarcheologia dell’invisibile, che vorrei definire di “seconda generazione”, in quanto fondata su sempre più raffinate tecniche molecolari.
Il saggio di apertura, di Renato Gianni Ridella, di Milagros Alzaga Garcìa e di altri Autori, ci porta a Cadice e al recente rinvenimento di un relitto cinquecentesco, affondato nel porto di questa città andalusa. Il sapiente dialogo tra fonti archeologiche e ricerca d’archivio ha permesso l’identificazione del relitto con una nave mercantile genovese, varata nel 1573 e attiva nel commercio del grano dai porti della Sicilia verso Genova e la Spagna, dove caricava lana e beni alimentari. La San Giorgio e Sant’Elmo fu affondata nel porto di Cadice, dove si trovava attraccata, il 29 Aprile 1587 nel corso di un vero e proprio raid da parte del corsaro Francis Drake: un attacco determinato dall’intenzione di indebolire le forze navali spagnole, ormai pronte a mettere in atto il disegno di Filippo II d’invasione dell’Inghilterra con l’Invincibile Armada, alla quale flotta erano destinati cannoni in bronzo fusi a Genova e vettovaglie imbarcate sulla nave mercantile genovese. Ne emerge una straordinaria storia mediterranea ed europea, che questo studio, a cavallo tra Conflict Archaeology, storia e archeologia del commercio, ci racconta anche con grande freschezza e capacità interpretativa.
Sul tema delle fortificazioni alpine, Chiara Maria Lebole e Roberto Sconfienza presentano un solido contributo su un sito di frontiera del Ducato di Savoia, nei pressi del valico del Piccolo San Bernardo. Studiosi noti per il loro impegno nello studio storico-archeologico di opere campali e di trinceramenti alpini, fra archivio e terreno illustrano i risultati delle ricerche sul sito di Orgères (La Thuile, Aosta), che fu interessato da articolate opere di fortificazione a partire dal 1691, sul confine franco-sabaudo. Il recente scavo archeologico del sito permette uno studio integrato con la documentazione archivistica, da cui emerge una lunga e discontinua frequentazione delle strutture militari del sito tra la fine del XVII e la fine del XVIII secolo, in occasione della guerra di successione austriaca; questa ricerca ci consegna anche nuovi segmenti di paesaggi dei conflitti e restituisce nuovi valori di leggibilità a questi territori alpini.
Nella sezione dell’archeologia del commercio, il saggio di Maxime Poulain e di Wim De Clerq dedicato alle ceramiche mediterranee dal castello di Middelburg nelle Fiandre, illustra le importanti restituzioni ceramiche di questo sito, che permettono agli autori considerazioni sulle differenze tra Paesi Bassi e Fiandre per ciò che concerne la diffusione delle ceramiche postmedievali italiane, a partire dal XV secolo. Maioliche di Montelupo e di Savona (ma anche portoghesi), il cui ruolo di status symbol, ben chiaro nel XVI secolo, venne successivamente messo in crisi dalla diffusione della porcellana cinese.
Lo studio delle pipe fittili ha ricevuto, com’è noto, una pionieristica attenzione da parte dell’archeologia postmedievale europea e inglese in particolare. Eda Kulja illustra un interessante complesso di pipe dalla Torre Santa Caterina di Nardò (Lecce), nel Salento, dovuto all’uso militare Sette-Ottocentesco di questo edificio. La ricerca rappresenta un significativo passo in avanti delle conoscenze sulla diffusione regionale di questi manufatti, fra importazioni austriache (reperti bollati Vienna, A. Fuchs) e probabili produzioni sub-regionali, che possiamo ipotizzare abbiano attecchito, sulla spinta della diffusione della moda del fumo, in diversi centri di questa regione, specializzati nelle produzioni ceramiche, come San Severo in Capitanata, che dovette avere una produzione interessante di pipe, se suoi artigiani avviarono nell’Ottocento anche manifatture al di fuori della regione.
Al tema della storia biologica e sanitaria della popolazione si riferisce il contributo di Antonio Fornaciari, che approfondisce il ruolo della micropaleobiologia e il caso di studio della peste, come approccio integrato tra metagenomica, ricerca storica e archeologica, in un rapporto stretto tra società, ambiente e malattie infettive. La discussione verte sui cimiteri di catastrofe sanitaria, sulla topografia cimiteriale, sui problemi della gestione dell’emergenza e sulle diverse soluzioni delle sepolture collettive, nei centri rurali e nelle aree urbane. Questi aspetti, più propriamente di archeologia funeraria rivelano in sé un solido potenziale interpretativo: i tempi di formazione, sincronici o diacronici, all’interno delle sepolture collettive orientano nel primo caso prevalentemente verso il dominio dell’archeologia forense, nel secondo verso catastrofi epidemiche che mantengono comunque una scansione, anche se stretta, della mortalità. Il saggio segna un passo in avanti veramente significativo nello strutturare una crescente consapevolezza degli obiettivi della ricerca biologica applicata alle aree cimiteriali in generale, ma in particolare in quelle di catastrofi sanitarie (alle quali la Rivista potrebbe a breve dedicare un numero tematico) e l’Autore sottolinea in questo senso la necessità di protocolli condivisi di campionamento sul campo dei reperti biologici.
L’alimentazione in un carcere ottocentesco della Liguria (Finalborgo, Savona) è studiata da Daniele Arobba e da Giovanni Murialdo sulla base dello scavo di un ambiente chiuso, utilizzato come pozzo nero e successivamente, alla fine del XIX-inizi XX secolo) come discarica. La ricerca analizza i dati archeobotanici, carpologici, restituiti dallo scavo e identifica un’alimentazione carceraria fortemente indirizzata sulle nuove colture giunte in Europa dalle Americhe, come pomodoro, peperoncino, fichi d’India: l’obiettivo posto dagli Autori è duplice, da un lato approfondire il confronto di questi dati con la cartografia degli usi del suolo registrati nel catasto napoleonico, dall’altro confrontare questi dati con i consumi alimentari di altri contesti, socialmente diversificati, del Finalese.
I saggi si chiudono con il contributo di Luciano Mingotto, dedicato a un complesso castrense con torri e successivo convento carmelitano cinquecentesco a San Polo di Piave (Treviso), che evidenzia l’interesse di quest’area pluristratificata e del suo potenziale informativo.
La sezione “Archeologia Postmedievale in Italia” si presenta da questo numero in una rinnovata veste editoriale, con le schede arricchite da illustrazioni a colori delle indagini sul terreno, di elaborazioni 3D, di restituzioni grafiche, di reperti e documenti d’archivio. Le regioni interessate spaziano dalla Lombardia alla Sicilia, ma i margini d’implementazione di questa sezione di Archeologia Postmedievale restano ancora estremamente significativi, in particolare in rapporto all’attività di tutela svolta quotidianamente in Italia anche sul patrimonio archeologico postmedievale. La crescita della consapevolezza di una vivace comunità scientifica attorno a questa parte del patrimonio archeologico e culturale, continua a rappresentare ancor’oggi, al passaggio del ventesimo numero, un cardine imprescindibile della mission della politica culturale della Rivista.
Marco Milanese – Sassari, dicembre 2017
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