Descrizione
Secondo le tradizionali suddivisioni disciplinari-accademiche delle materie archeologiche, il libro di Francesco De Stefano dovrebbe essere annoverato tra i numerosissimi contributi dedicati alla cosiddetta “Archeologia della Magna Grecia”. All’area della penisola italiana investita da quel complesso fenomeno storico e culturale che per comodità chiamiamo “colonizzazione greca”, e che era definita sin dall’Antichità “Magna Grecia” (Megàle Ellas, Magna Graecia), si devono riferire infatti i territori, i monumenti e gli oggetti raccolti, esaminati e commentati in questo lavoro. Tuttavia, in questo ampio e articolato ambito geografico ed etnico si possono individuare delle “costanti” che, dal punto di vista della ricerca storico-archeologica, lo rendono non troppo diverso da altri settori del Mondo Classico. Delle città greche dell’Italia meridionale e dei loro territori, così come di Roma e del suo impero o dell’Etruria, sono generalmente note la storia, l’arte e alcuni tra i maggiori monumenti. Resta invece per lo più da definire una visione d’insieme di questi mondi che tenti di ricostituire e spiegare la loro varietà originaria. Per questo è necessario considerare le città antiche, i territori dell’Italia e dell’impero come realtà unitarie (contesti). Tali contesti erano costituiti da organismi minori (singoli insediamenti o entità territoriali, edifici e oggetti di ogni genere) che ne hanno definito la struttura e il tessuto in un continuo trasformarsi, delle singole parti e del tutto, nel corso del tempo.
Oggi il mondo antico è scomparso, generalmente sepolto, in molte parti perduto per sempre. I contesti sono stati cancellati e i nessi tra le parti che li costituivano sono stati spezzati. L’archeologia ha affrontato solo in tempi molto recenti la sfida di ricostruire queste realtà, integrando le parti mancanti. Mancava ancora uno studio dedicato all’Archeologia della Magna Grecia che muovesse sistematicamente da queste premesse e intendesse offrire una proposta di narrazione storica e culturale, tessuta con documenti diversi e apprezzabile a scale diverse.
L’immagine e il suo contesto
Il titolo scelto dall’Autore non sembra lasciare dubbi sull’impostazione del lavoro. Esaminare patrimoni figurativi, fino a tracciare una storia dell’arte, impone la considerazione di singole opere, particolarmente significative per illustrare iconografie e stili di determinate epoche. Da ciò deriva un’impostazione della narrazione necessariamente antologica. Ma in tal modo può anche accadere che talvolta le stesse opere rimangano isolate, cioè separate dal contesto fisico nel quale esse sono state concepite e utilizzate e dalle architetture che le sorreggevano o le contenevano. Non si tratta naturalmente di estendere l’analisi storico-formale agli edifici o discutere se l’architettura in sé possa essere considerata o meno una forma di arte. Immagini e stili si sono sviluppati nel corso del tempo in intima connessione con i monumenti, elementi immobili che definiscono il paesaggio. Pertanto, la struttura e la natura dei luoghi che hanno costituito il contesto ultimo di tutte le opere antiche dell’ingegno, il contenitore di tutti i contenitori, sono oggetto del nostro interesse.
Infatti, le città e i territori antichi erano una realtà multiforme, caratterizzata da paesaggi definiti «promiscui», attraverso i quali si svolgeva una trama ininterrotta di intrecci tra realtà diverse se non antinomiche: pubbliche e private, ricche e povere, di elevata o bassa qualità, di rilevanza politica, economica o giuridico-sacrale. In essi convivevano continuità, dovute alla permanenza e alla conservazione di edifici connessi a specifiche tradizioni o memorie, e discontinuità, dovute al consueto fluire delle cose materiali e alle innumerevoli azioni umane soggiacenti ai fenomeni storici di lunga durata. Tutto ciò vale anche per Siris, Metaponto e gli insediamenti enotri che le hanno precedute o che sono riusciti a convivere per un limitato lasso di tempo con le nuove realtà instaurate dai Greci.
Paolo Carafa